Per il Sorrento è un sogno, incredibile e stimolante. Per il Verona, invece, è un'ossessione tremenda, forte ed incisiva nella testa. E’ così, è innegabile. Il “piccolo” Sorrento è riuscito ad arrivare fino a qui, a quattro partite dal…sogno di acciuffare una straordinaria promozione in serie B. E contro squadre del calibro di Verona, Salernitana ed Alesssandria: insomma...un sogno. Il Sorrento ce l’ha fatta con orgoglio, passione, genuinità, programmazione, umiltà ed una bella dose di qualità. Raggiungendo il proprio obiettivo stagionale: i playoff, non la promozione diretta in B che - se la fortuna avesse detto bene - forse ora sarebbe realtà. Comunque, in fondo, sul campo, la squadra ha saputo dimostrare di potersela giocare contro chiunque ed ovunque. Ed i risultati lo testimoniano. Manca Paulinho, mancherà sicuramente al Bentegodi il bomber brasiliano nella semifinale di andata dei playoff, ma c’è la sensazione che questo Sorrento sia arrivato così in alto, secondo, perché alle spalle ha un gruppo forte e motivato, dai vertici al magazziniere, coeso nell’animo e nel profondo del cuore. Discorso un po’ diverso per il Verona.
Che da giorni sta mettendo in campo il proprio blasone, soprattutto sotto il profilo mediatico. Accendendo i riflettori sulle dimensioni del campo Italia, sulla superficie di gioco e su ciò che è di contorno ad una partita di calcio. Cosa che non ha fatto nella gara di ritorno in campionato, persa in costiera 2-0. Sintomo di timore? Forse sì, forse no. Molto probabilmente, invece, la questione è proprio un’altra: il grande e scudettato Verona, squadra che in A ci starebbe di diritto senza neppure discuterne, non è storicamente abituato a giocare sui campi di provincia, a militare nella terza serie nazionale. Ecco perché la B diventa ossessione tremenda, dopo playoff andati in malora e tentativi di risalita miseramente falliti: l’anno scorso accadde una cosa del genere, sia nell’ultima giornata di campionato col piccolo Portogruaro (il Verona, per andare in B, doveva vincere e superare il diretto avversario che, invece, espugnò il Bentegodi all’ultimo secondo con un gol di Bocalon, foto a destra) che nei playoff (i gialloblù persero la doppia finale playoff contro il Pescara). Ecco perché per il Verona non andare in B sarebbe un nuovo incredibile fallimento, inaccettabile per la gloria e la storia del club. Un ennesimo copioso sperpero di svariati milioni di euro, molti in più di quelli spesi con capacità dal Sorrento, dopo un cambio in panchina oneroso e fragoroso (via Beppe Giannini ora c’è Mandorlini, uno che guidava il Cluj in Champions League, mica niente!). Sì, ossessione tremenda: il Verona non può permettersi l’ennesimo flop calcistico in Prima divisione. Una categoria che per svariati motivi – dalle spese fronteggiate dall’attuale società, al blasone, al bacino d’utenza, alla struttura – non può appartenere agli scaligeri. In Prima divisione, vedere giocare il Verona, è davvero sorprendente. Il sogno dunque è solo del Sorrento, che dalla B manca da quarant’anni (una sola apparizione), ha un buon passato in C (dal 1990 fino al 2005 ha militato nei dilettanti, il Verona vinceva lo scudetto e lottava in massima serie) e sta accarezzando da vicino una strepitosa fantasia. Non può essere e non deve essere così, invece, per il Verona. Se invece l’ossessione tremenda della B, per gli scaligeri, diventasse all’improvviso un sogno significherebbe davvero non tener conto di una storia gloriosa, quella del Verona, che di B ne dovrebbe conoscere soltanto una: quella del B…entegodi! Se in chiave gialloblù si parlasse di sogno vorrebbe dire, in sostanza, ignorare incredibilmente il passato di tanti anni vissuti in prima linea e in serie A. Insomma, una sorta di mancanza di rispetto. E ciò sarebbe gravissimo... “Per andare in B mi romperei pure l’altro braccio” ha detto nelle ultime ore il centrocampista del Verona Paghera, appena ritornato nei ranghi di Mandorlini. E’ tutto chiaro: ossessione tremenda, ossessione canaglia!

Sezione: Avversari / Data: Ven 20 maggio 2011 alle 18:06 / Fonte: solosorrento.it
Autore: Alberto Pecchio
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